L’emozione delle due ruote

Mi chiamo Matteo Caproli e ho trent’anni. Da sempre sono appassionato di due ruote. Ero poco più che ventenne quando ho acquistato la mia prima moto: una Guzzi V7 Stone. Subito è nata la voglia di metterci mano, perché ero convinto che la linea estetica originale avesse molto potenziale inespresso nella proporzione delle linee, mentre gli articoli originali, a mio avviso, rendevano la moto piuttosto goffa. Ho pensato che avrei potuto sviluppare questo potenziale snellendo la linea e utilizzando i primi accessori, ovviamente non prodotti da me, per customizzare la moto. L’offerta del mercato, tuttavia, era limitata e ciò che trovavo non mi appagava a livello qualitativo, estetico e funzionale. Allora ho iniziato a modificare i pezzi a mia disposizione per togliere i difetti e per semplificare la fase di montaggio. Più lavoravo sulla moto e più mi entusiasmavo, così ho trasformato il garage di casa in un laboratorio in cui realizzare le prime moto special per i miei amici.

C’era un ragazzo…

Il problema consisteva nel fatto che il mio lavoro non era questo, quindi non potevo dedicare tutto il tempo alle moto. Ho studiato all’istituto tecnico per geometri ma, finita la scuola, vista la crisi economica che stava colpendo l’Italia (e non solo) tra la fine degli anni ’00 e l’inizio degli anni ’10, ho colto al volo la prima opportunità che mi è capitata e così mi sono ritrovato in fabbrica. Consideravo il ruolo del dipendente poco appagante e insoddisfacente. Di conseguenza ho pensato che sarebbe stato necessario trovare una via d’uscita riprendendo gli studi; per questo motivo mi sono iscritto a ingegneria, anche se non è stato facile studiare e contemporaneamente lavorare. Per fortuna, dopo la laurea, i miei sforzi sono stati ricompensati, visto che ho avuto la possibilità di entrare nello studio tecnico di un’azienda in cui seguivo programmi per la gestione di macchinari e di elementi edili. Mi trovavo bene, ma provavo le stesse sensazioni di quando ero in fabbrica. Nel frattempo mi stavo rendendo conto di avere le basi tecniche di progettazione e un bagaglio di competenze da spendere per tentare di intrecciare passione e professione. Pertanto ho maturato la decisione di impiegare gli strumenti che negli anni avevo affinato per intraprendere una nuova e stimolante avventura.

Una passione che racchiude un sogno

Ho iniziato a progettare i primi componenti pensando di uscire dal mio garage per creare qualcosa che fosse replicabile in serie, pur senza industrializzare il prodotto e rimanendo perciò fedele al concetto artigianale di tiratura limitata, fondamentale per un mercato di appassionati alla ricerca dell’originalità. Vista l’esperienza con la mia prima moto, una Guzzi, e visto che all’epoca l’offerta era carente, rispetto alla domanda, di articoli per la neonata V7 III, ho intuito avrei potuto investire il mio know-how nell’elaborazione di pezzi per questo nuovo modello. Il tutto capitava nel momento più adatto e io potevo rispondere a un’esigenza di mercato. Inoltre durante quel periodo mi stavo appassionando alla stampa 3D, una tecnologia che consente di concretizzare un’idea immediatamente e il massimo per ottenere risultati soddisfacenti. Tuttavia questo aspetto apriva delle questioni riguardo ai materiali non tecnici da impiegare, dato che c’era il problema di ottenere finiture estetiche perfette. Se poi la situazione era gestita da terzisti, c’era il rischio di andare fuori mercato. È qui che ho avviato il processo di perfezionamento del prodotto per la commercializzazione.

Reverso: un’idea di stile moderno

Reverso è, secondo Treccani, «un latinismo usato talvolta nel linguaggio dotto col significato di “rivoltato, volto in opposta direzione”». Questa è l’anima ribelle di Reverso nel contesto del panorama tradizionalista italiano. La mia idea era presentare una nuova prospettiva, abbinando un design ricercato e moderno, che avrebbe potuto contraddistinguere il prodotto, alle possibilità della stampa 3D, che mi avrebbe permesso di realizzare pezzi non replicabili con metodi di produzione classici. Andare in senso contrario significa, in questo ambito, andare in direzione opposta rispetto allo stile italiano del mondo della personalizzazione. Ciò non esclude una conoscenza esaustiva della nostra tradizione. Quando ho lasciato il lavoro dipendente, infatti, facevo parecchia autocritica e mi chiedevo cosa avrei potuto fare e cosa sarebbe stato meglio evitare. Dunque ho chiesto informazioni sul territorio marchigiano, al fine di trovare un’idea innovativa per questo tessuto industriale. Come un’ape mi posavo di fiore in fiore per capire e per scegliere con chiarezza, ma sempre con uno sguardo alla qualità e con una precisa visione aziendale: inserirmi, con la mia linea moderna, nel segmento modern-classic, caratterizzato da moto classiche rivisitate in chiave moderna, come nel caso dei modelli rilanciati dalla Guzzi. In sostanza, sono alla continua ricerca di un design pulito, essenziale e minimale. Seguendo gli insegnamenti di Ferruccio Lamborghini, quando lanciò la sua sfida a Enzo Ferrari, ogni volta che penso a qualcosa parto da una domanda che pongo a me stesso, per capire se mi piace ciò che sto realizzando.

La fiducia dei clienti

È stato proprio a partire dalla Moto Guzzi V7 III che ho cominciato a creare nuovi accessori, mentre la realizzazione del sito e il resto dell’organizzazione e della pianificazione aziendale sono avvenute a partire da marzo 2022. Per fortuna sin da subito i clienti mi hanno dato fiducia, mettendosi nei panni di un ragazzo che stava inseguendo un sogno. Per questo li ringrazio.